Scoperti i circuiti di allodinia da danno e depressione
GIOVANNI
ROSSI
NOTE E NOTIZIE - Anno XVIII – 13 marzo
2021.
Testi
pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di
Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie
o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione
“note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati
fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui
argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
Normalmente
noi percepiamo il dolore quando segnali originati dalle sottili fibre mieliniche
a trasmissione veloce Aδ o dalle fibre afferenti
amieliniche lente C raggiungono le reti cerebrali che costituiscono la
coscienza. Un’esperienza che si verifica anche banalmente nella vita quotidiana,
come una puntura di spillo o un pestone, richiede questa mediazione per essere
avvertita come sensazione spiacevole ma, soprattutto, necessita della presenza
di un agente fisico, chimico, traumatico o patologico che produca lo stimolo nocicettivo.
In altre parole, il dolore come reazione fisiologica è sempre causato da una
stimolazione algica e non è mai spontaneo. Tanto è vero, che il suo studio
clinico consente di ricondurre la sensazione soggettiva riferita dal paziente
ai caratteri di localizzazione, tempo, durata e qualità dello stimolo.
Un
fenomeno particolare, ma non tanto raro quanto comunemente si crede, è l’allodinia ovvero la percezione di dolore per stimoli
innocui, non in grado di causare in alcun modo l’attivazione dei nocicettori,
come una carezza, un soffio d’aria, una lieve pressione o un contatto con un
elemento morbido o soffice. L’allodinia è considerata
un fenomeno patologico e non deve essere confusa con l’iperalgesia,
ossia la percezione di dolore per stimoli potenzialmente dolorifici ma non in
grado per intensità di superare la soglia del dolore in condizioni normali,
oppure una sensazione algica eccessiva per una piccola sollecitazione
nocicettiva[1]. Dunque, mentre l’iperalgesia si può considerare
una risposta eccessiva o esagerata in rapporto all’oggettività dello stimolo e
al comportamento medio della popolazione sana, l’allodinia
è una risposta anomala, paradossale e imprevista, tanto che i medici del
passato l’attribuivano invariabilmente a disturbi mentali, da sindromi
psicopatologiche gravi a strategie isteriformi per ottenere vantaggi secondari
o per manipolare persone legate da rapporti affettivi.
La
sofferenza nell’allodinia invece non è simulata o
prodotta dal cervello ex-novo con meccanismi simili a quelli di deliri e
allucinazioni nel contesto psicopatologico, ma un fenomeno che si produce
generalmente in persone sane di mente per effetto di processi che si studiano
insieme con le basi del dolore cronico[2].
La ricerca
di base che indaga i meccanismi e i circuiti implicati nell’allodinia
considera operativamente questo fenomeno una “ipersensibilità al dolore”, anche
se, come abbiamo visto, in semeiotica neurologica non è corretto parlare di eccessiva
sensibilità, ma di reazione anomala o paradossa in quanto gli stimoli che
determinano la sensazione spiacevole non sono nocicettivi.
Ciò che da
tempo sollecita la riflessione dei ricercatori di branche differenti[3] è che l’allodinia e varie
forme di ipersensibilità nocicettiva possano essere causate tanto da danno dei
tessuti dell’organismo quanto da depressione, intesa come disturbo
psicopatologico caratterizzato da umore depresso. Si è supposto, in passato, l’esistenza
di un meccanismo comune, almeno per quanto riguarda la componente effettrice,
ma i circuiti neuronici responsabili non sono stati finora definiti.
Xia Zhu e colleghi hanno individuato in topi di sesso
maschile[4] due distinti circuiti glutammatergici, il primo in
grado di mediare l’allodinia associata a danno
biologico dei tessuti e il secondo specificamente attivo nella mediazione dell’allodinia associata allo stato murino considerato equivalente
del disturbo depressivo umano.
(Zhu X., et al. Distinct thalamocortical circuits underlie
allodynia induced by tissue injury and by depression-like states. Nature Neuroscience – Epub ahead of
print doi: 10.1038/s41593-021-00811-x, 2021).
La provenienza degli autori è la seguente: Department
of Anesthesiology, The First Affiliated Hospital of USTC, Hefei National Laboratory
for Physical Sciences at the Microscale, Division of Life Sciences and
Medicine, University of Science and Technology of China, Hefei (Cina); Department of Physiology, School of Basic Medical
Sciences, Anhui Medical University, Hefei, PR (Cina);
Stroke Center and Department of Neurology, The First Affiliated Hospital of
USTC, University of Science and Technology of China, Hefei (Cina).
Si ricorda
che la definizione di dolore ancora adottata dalla comunità neuroscientifica è
quella della International Association for the Study of Pain
(IASP): “Una spiacevole esperienza sensoriale ed emozionale associata a danno
tessutale attuale o potenziale o descritta nei termini di tale danno”[5].
Qui di seguito si riportano alcune
nozioni introduttive sulle basi della risposta al dolore, in una sintesi già
proposta[6]:
“La risposta
fisiologica al dolore è avviata da stimoli in grado di attivare le terminazioni
di una o più classi di neuroni recettivi del dolore (nocicettori)[7] che trasmettono l’informazione sensitiva
principalmente attraverso il glutammato e i neuropeptidi ai neuroni del corno
posteriore del midollo spinale, da cui originano cinque vie ascendenti al
talamo ed alla corteccia cerebrale: 1) Spino-Talamica, 2) Spino-Reticolare, 3) Spino-Mesencefalica,
4) Spino-Ipotalamica, 5) Cervico-Talamica. Ciascuno di tali tratti presenta caratteristiche
fisiologiche peculiari. I nuclei talamici mediano l’invio dell’informazione
alla corteccia cerebrale, che direttamente partecipa all’elaborazione delle
sensazioni dolorose. A queste vie ascendenti corrisponde una rete distribuita
di popolazioni neuroniche costituenti nel loro insieme il sistema analgesico
endogeno, del quale si riconoscono alcune sedi principali nel grigio
periacqueduttale, nel nucleo del rafe magno, in parti della formazione
reticolare del bulbo e del mesencefalo, inclusa la regione parabranchiale[8]. Proseguendo in direzione cefalica vi è come una continuazione
del sistema di controllo del dolore in aree proencefaliche che, stimolate, sono
in grado di inibire le afferenze nocicettive del fascio spino-talamico: il
grigio periventricolare, il nucleo ventroposterolaterale del talamo, l’area
somestesica primaria della corteccia post-centrale e le aree corticali
parietali posteriori. Non è superfluo ricordare che la stimolazione diretta del
cervello produce, in generale, analgesia”[9].
Il brano
successivo consente di inquadrare in un contesto già definito nel 2010 il
lavoro qui recensito, nel quale si legge che la ricerca aveva lo scopo di
individuare il circuito encefalico sottostante una condizione spesso
debilitante come il dolore neuropatico, che presenta componenti sensoriali
e affettive:
“Precedentemente si è fatto
riferimento ad un complesso di piccoli sistemi, inizialmente identificati nel
grigio periacqueduttale del mesencefalo[10], che nel suo insieme costituisce una via discendente di controllo
inibitorio della nocicezione spinale, in grado di esercitare una profonda
influenza sulla maniera in cui facciamo esperienza della sofferenza fisica. Lo
studio delle aree e delle connessioni dalle quali origina questa funzione
“analgesica”, ha rivelato un’importante partecipazione corticale,
sottocorticale e troncoencefalica nella costituzione di una rete capace di
integrare informazioni cognitive, emotive ed affettive secondo processi ancora
in gran parte sconosciuti.
Oggi è accertato che le cellule
nervose del grigio periacqueduttale troncoencefalico ricevono impulsi da varie
aree corticali[11], così come dall’amigdala e dall’ipotalamo, ed inviano segnali all’area
del bulbo indicata con l’acronimo inglese RVM (da rostral ventromedial medulla). L’attivazione di
questo circuito media la potente soppressione del dolore che si verifica
durante un trauma, uno stress intenso
o uno stato di grande eccitazione, ma la sua funzione complessiva non si limita
ad un’attività inibitoria. Infatti, numerose evidenze suggeriscono che il
sistema nel suo complesso, in condizioni fisiologiche, svolge un ruolo di regolatore
di intensità del dolore mediante l’azione di due classi distinte di
neuroni:
1) cellule off, attivate da endorfine e mofina, inibitrici della trasmissione degli impulsi dolorifici;
2) cellule on, facilitatici della segnalazione
del dolore e sensibili agli stimoli nocicettivi[12].
Si è poi accertato che questo
sistema di controllo, e in particolare i neuroni della RVM, svolgono un
ruolo importante nella persistenza del dolore acuto. Vari esperimenti
avevano mostrato che, nel danno neuropatico sperimentalmente indotto nei
roditori, una popolazione di cellule di questo nucleo bulbare emetteva una
segnalazione che, invece di ridurre i segnali nocicettivi in arrivo, li
amplificava. Un lavoro condotto da Porreca e colleghi nel 2001 ottenne un
risultato illuminante in questo senso: impiegando il metodo della tossina
legata al trasmettitore secondo la strategia del cavallo di Troia
precedentemente descritta a proposito dello studio condotto dal gruppo di
Patrick W. Mantyh, i ricercatori distrussero
selettivamente nei ratti la popolazione neuronica del nucleo RVM sospettata di
amplificare invece che inibire i segnali. Senza questi neuroni, i roditori
ugualmente sviluppavano dolore patologico nella zampa innervata dal tronco
nervoso sottoposto a danno sperimentale, ma la sofferenza durava poco tempo.
Tale risultato, successivamente sottoposto a numerose verifiche, suggeriva che
l’area RVM contiene una popolazione neuronica che specificamente interviene
nel determinare una conversione funzionale responsabile del mantenimento
dello stato alla base del dolore cronico.
Nel 2008 il team di Irene Tracey presso l’Università di Oxford ha cercato una
verifica di questi risultati nell’uomo, in uno studio che ha avuto
un’importanza decisiva per l’interpretazione del ruolo dei neuroni equivalenti
a quelli del nucleo RVM dei roditori. Nei volontari in cui era stato indotto
mediante capsaicina[13] un dolore simile a quello dei pazienti sofferenti di algie croniche, l’area
della formazione troncoencefalica corrispondente alla RVM dei ratti presentava
un’attività diversa da quella dei soggetti di controllo e in tutto simile a
quella delle persone affette da dolore cronico.
Avuta questa conferma, si è compiuto
un ulteriore passo in direzione dell’origine, cercando di individuare le cause
che portano i neuroni bulbari del sistema di regolazione di intensità del
dolore a rispondere emettendo segnali che amplificano le informazioni nocicettive.
Varie evidenze, ancora al vaglio della verifica, sembrano indicare che segnali
ectopici provenienti dal nervo danneggiato agiscono modificando lo stato delle
cellule dell’area RVM inducendole a rispondere con una facilitazione, invece
che con una inibizione, ai segnali dolorifici.
In attesa di ulteriori sviluppi di
queste ricerche, passiamo ad un altro aspetto molto interessante della
percezione del dolore: oltre ad operare attraverso un sistema di controllo dell’intensità
degli stimoli, il sistema nervoso centrale è impegnato in attività di sintesi
che sembrano essere alla base dello stato generale che connota la
qualità complessiva di “esperienza spiacevole o insopportabile” con la sua
gamma di differenti tipi, caratterizzati da componenti emotivo-affettive
diverse e da particolarità che caratterizzano il vissuto soggettivo.
Questi stati, convenzionalmente studiati come interpretazione del dolore, dipendono da innumerevoli fattori,
quali il setting, il grado di
attenzione e di allerta, il tono dell’umore, le esperienze passate della persona,
il grado e il tipo di attivazione dei sistemi dello stress, la presenza di disturbi fisici e psichici pregressi, e così
via. Sebbene la ricerca delle basi neurofunzionali dell’esperienza del dolore
non possa penetrare la soggettività psicologica, oggi può fornire importanti
elementi per la comprensione dell’influenza del dolore sulla sfera
affettivo-emotiva e su quella cognitiva.
La potente attivazione da parte del
dolore di aree cerebrali che elaborano le emozioni, è un’importante
acquisizione degli anni recenti che ha determinato un superamento dei
tradizionali limiti del campo di studio della neurofisiologia nocicettiva.
Infatti, è stato accertato che i processi responsabili della sofferenza fisica
determinano un’intensa attivazione della corteccia cingolata anteriore (ACC,
da anterior cingulate cortex)[14], una regione che sembra implicata nel governare vari aspetti emotivi delle
esperienze protopatiche, e dell’amigdala, il cui importante ruolo nella
paura e in altre reazioni e stati emotivi è ben noto. Queste aree, che fanno
parte di una sorta di asse cerebrale del
dolore - come è stato battezzato di recente - possono diventare iperattive
in sindromi e stati di dolore cronico, assumendo a loro volta un ruolo concausale
mediante l’accentuazione della reattività di questi pazienti, in una sorta di
circolo vizioso.
Studi recenti hanno fornito elementi
significativi a favore dell’ipotesi che la ACC svolga un ruolo di collegamento
fra l’elaborazione sensitiva del dolore e le risposte emozionali. Vari fattori
che innescano il dolore cronico agiscono specificamente su questa parte della
circonvoluzione del cingolo: i danni dei nervi periferici e l’infiammazione
cronica, ad esempio, determinano una ristrutturazione neurale nella parte
anteriore della corteccia cingolata che, d’altra parte, nella sua elaborazione
delle risposte al dolore, subisce l’influenza di fattori psicologici come
l’umore, le aspettative e la suggestione ipnotica[15]. Perciò si ritiene che la ACC integri gli impulsi sensitivi con gli stati
emotivi e la sua attività sia alla base di alcune manifestazioni cliniche
associate al dolore cronico, come i disturbi del sonno, la depressione
e un particolare stato di angoscia caratterizzato dalla paura che la
sofferenza diventerà così intensa da non essere più affrontabile e sopportabile
(pain catastrophizing)[16]”[17].
Torniamo
allo studio condotto da Xia Zhu e colleghi.
Le due vie
nervose identificate dai ricercatori sono entrambe delle vie talamo-corticali,
ed entrambe segnalano mediante glutammato, il neurotrasmettitore eccitatorio più
rappresentato nell’encefalo dei mammiferi.
Allodinia da danno tessutale: gli assoni del tratto ascendente del circuito
provengono dai neuroni di proiezione del nucleo talamico posteriore (POGlu) e sono diretti alla corteccia
somatosensoriale primaria, dove formano sinapsi eccitatorie glutammatergiche
con le cellule nervose, a loro volta rilascianti acido glutammico, dell’area
somestesica primaria (S1Glu).
Allodinia da stato simil-depressivo: le fibre di proiezione del tratto ascendente del circuito
provengono dai neuroni di proiezione del nucleo parafascicolare
del talamo (PFGlu) e giungono alla corteccia
cingolata anteriore, formando sinapsi con gli interneuroni inibitori
GABAergici di questa struttura importante nella mediazione delle componenti
protopatiche del dolore, e poi prosegue con le sinapsi regolatrici formate dai
terminali di queste cellule a neurite breve su neuroni eccitatori
glutammatergici della stessa corteccia del giro del cingolo (ACCGABA→Glu).
I
ricercatori hanno poi studiato i circuiti mediante imaging del Ca2+
in vivo e registrazioni MTER (multi-tetrode
electrophysiological recordings) accertando che
le popolazioni talamiche POGlu e PFGlu di ciascuno dei due vanno incontro ad un
adattamento precipuo e distinto.
Naturalmente,
per scoprire e verificare il ruolo funzionale di ciascuno dei due circuiti, Xia Zhu e colleghi hanno impiegato delle manipolazioni
artificiali – per la cui illustrazione si rimanda all’esposizione integrale
della procedura sperimentale contenuta nel testo dell’articolo originale – dalle
quali è emerso con evidenza che ognuno dei due è associato con ruolo causale
all’allodinia da danno o da depressione, ma nessuno
dei due è responsabile di entrambe le versioni patogenetiche del fenomeno.
In una
sintesi conclusiva si può dire che lo studio individua una base neurobiologica nel
cervello di topo del fenomeno del “dolore spontaneo” e dimostra che due
distinti circuiti talamo-corticali (POGlu→
S1Glu e PFGlu→ ACCGABA→Glu) sono alla base
rispettivamente dell’allodinia da lesione tessutale e
dell’allodinia da stato cerebrale simile a quello
della depressione umana. Se questi risultati saranno confermati da altri studi,
si comprende che i due circuiti identificati costituiranno nel prossimo futuro
la base interpretativa del dolore patologico senza stimolo apparente per tutte
le eziologie conosciute.
L’autore della nota ringrazia
la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura degli scritti di argomento connesso che appaiono nella sezione
“NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Giovanni Rossi
BM&L-13 marzo 2021
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La Società Nazionale di Neuroscienze
BM&L-Italia, affiliata alla International Society of Neuroscience, è registrata
presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio
2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica e culturale
non-profit.
[1] Un esempio del primo caso di
iperalgesia è avvertire dolore per un buffetto sulla guancia o una pacca su una
spalla; un esempio del secondo caso è urlare per una puntura d’ago. Nell’allodinia la qualità dello stimolo è del tutto inadeguata alla
stimolazione dei recettori periferici del dolore.
[2] Sono numerosi gli scritti di
recensione e aggiornamento dedicati dalla nostra società scientifica, fin dalla
sua fondazione, all’argomento del dolore (v. nella sezione “Note e Notizie”),
si parla di allodinia anche in “Dolore cronico come
malattia neurodegenerativa”.
[3] Si pensi che l’iperalgesia è studiata
come caso di dolore infiammatorio perché associata a risposta immunitaria e
rilascio di citochine: un ambito di studio molecolare che si collega a varie
branche della patologia; le stesse basi della depressione sono studiate a tanti
diversi livelli, da quello relativo alla componente infiammatoria al ruolo
psicologico dell’effetto “nocebo” sull’assetto neurofunzionale
del cervello.
[4] Si vedano Note e Notizie
06-03-21 Il sesso non è ancora considerato una variabile biologica e Note
e Notizie 20-02-21 differenze cerebrali nel dolore tra uomini e donne.
[5] La definizione è riportata sulla
nostra “Home Page” sotto l’illustrazione nella colonna di destra in basso alla
data 2004. Si ricordano anche i classici:
Casey and Bushnell (eds) Pain Imaging IASP Press, Seattle 2000; Loeser, Butler, Chapman and Turk (eds) Bonica’s
Managment of Pain, 3rd edn,
Williams and Wilkins, Philadelphia 2001; Wall, The science of suffering.
Columbia University
Press, New York 2000. Oltre il celebre trattato che costituisce il testo generale
di riferimento standard: Wall & Melzack’s
Textbook of Pain, 6th
edition, p. 927, Elsevier Saunders, Philadelphia
2013.
[6] Note e Notizie 28-09-19
Circuito discendente che modula il dolore neuropatico (v. per lo specifico
contenuto).
[7]
Un tempo, seguendo le descrizioni anatomiche classiche, si riservava il termine
“nocicettore” alla terminazione recettoriale periferica dei neuroni sensitivi
protopatici (cellule a “T”) con il corpo cellulare nel ganglio spinale o nel
ganglio dei nervi cranici. Attualmente si tende a seguire l’uso della
fisiologia, che identifica il nocicettore con tutta la cellula. Questo criterio
si applica anche ad altre strutture percettive; ad esempio nella retina si
indicano con coni e bastoncelli le cellule fotorecettrici,
incluso l’articolo esterno dal quale prendono il nome. Tale uso è seguito da
tempo in ambito sperimentale dove, d’altra parte, al livello molecolare il
termine “recettore” è pressoché esclusivamente impiegato per designare le
molecole proteiche che ricevono un ligando.
[8]
Più
avanti si fornisce un’indicazione più particolareggiata delle aree importanti
nella modulazione del dolore e dei principali meccanismi noti.
[9] Dolore cronico e danno neurodegenerativo nella sezione “In Corso” del sito.
[10]Esperimenti condotti
presso l’Università della California a Los Angeles (UCLA) avevano dimostrato,
già all’inizio degli anni Settanta, che la stimolazione di una particolare area
del mesencefalo era in grado di causare sollievo nei ratti prostrati dal dolore.
[11]
Nell’elaborazione
del dolore sono attive aree della corteccia
prefrontale, parietale
posteriore, motoria, somatosensitiva, del giro del cingolo (anteriore e posteriore) e dell’insula.
Si è scelto di riportare sinteticamente questo riferimento in nota, invece di
trascrivere la dettagliata disamina dei centri corticali implicati
nell’elaborazione del dolore, per non interrompere il filo della trattazione.
[12]La funzione di questo
circuito è notevolmente influenzata da fattori psicologici e risente dell’effetto
placebo.
[13] Composto contenuto nel
peperoncino rosso o pepe di Caienna, ampiamente usato come stimolo nocicettivo
a scopo sperimentale per la sua straordinaria potenza ed efficacia a piccole
dosi. È ritenuta la più potente molecola dolorifica.
[14]
Il giro del cingolo (gyrus cinguli, secondo
l’IANC, International Anatomical
Nomenclature Committee) o circonvoluzione
del corpo calloso, che Broca aveva descritto come lobulo del corpo calloso, circonda e segue dal ginocchio allo
splenio il contorno del corpo calloso come il cingolo di un carro armato, con il
margine superiore delimitato dal solco del cingolo che, con i suoi rami più
piccoli, lo rende irregolare e festonato, presentando parti che Rolando aveva
paragonato alla cresta del pollo (circonvoluzione
crestata). In corrispondenza dello splenio si continua con la circonvoluzione dell’ippocampo, che
appartiene alla faccia inferiore degli emisferi e costituisce uno dei
collegamenti più studiati per comprendere i ruoli fisiologici dei neuroni che
hanno sede in questa formazione. Osservando la superficie mediale dell’emisfero
ci si rende conto che il giro del cingolo ne costituisce una parte importante,
sormontata da giro frontale interno,
lobulo paracentrale, cuneo e precuneo:
strutture neocorticali implicate nei processi cognitivi.
[15] Come è stato documentato
in vari studi mediante neuroimaging. Si veda, in proposito: Nash M. R. & Benham G., The Truth and the
Hype of Hypnosis. Scientific
American MIND, giugno 2005.
[16] Si veda G. Perrella, Il Disturbo Post-Traumatico da Stress
(PTSD). Università degli Studi di Napoli Federico II, Napoli 2005.
[17] Dolore cronico e danno neurodegenerativo nella sezione “In Corso” del sito.